Succede a Parigi che un blog dedicato ai fiori si auto-promuova installando per la città 1.500 scatolette rosse con una rosa dentro con la scritta “aprire in caso di colpo di fulmine”.  Succede che anche questo San Valentino è passato e forse qualcuno sta ancora raccogliendo i cocci, magari quelli di un amore non corrisposto, magari con la testa già altrove.

A parte la personale esperienza negativa con il regalare rose rosse – sinceramente penso porti un po’ sfiga – ed i miei continui colpi di fulmine che forse non sono tali, i miei cocci di San Valentino riguardano mia figlia che deve ancora compiere 12 anni.  Questo il racconto: notte di San Valentino, in viaggio verso un lago e un lume di candela, chiamo al telefono mia figlia.

“Papà, papà, papà.” Già la triplice invocazione al telefono mi fa capire che sta per attivarsi la modalità di comunicazione “sto per dirti qualcosa di importante”.

“Ho ricevuto una rosa in regalo.” Rallento il mio viaggio, respiro, e penso immediatamente a quel grandissimo bastardo che si è permesso di fare una cosa del genere. Poi, tirando fuori il massimo della mia diplomazia, chiedo l’identikit.

“Non lo conosci. Cioè, lo hai visto a teatro. Vabbè, si chiama Libero.”  Ma che nome mai può essere questo? Mentre mi immagino il tipo di genitori che possono aver chiamato un figlio Libero, tiro fuori l’ultima mia riserva di simpatia e chiedo se la rosa è già finita nel secchio.

“No papà, è una bella rosa,  perché buttarla?”  Te lo direi io perché buttarla, ma soffocando l’impeto di gelosia, parto con un discorsetto sull’importanza della prima rosa di San Valentino e dei regali in generale.  Cambio tono,  inizio con la semi-paternale, ma sento silenzio.

“Papà, non è la prima rosa che ricevo. Anche l’anno scorso ne ho ricevuta una, ma non te l’ho detto perché se no ti incazzavi.”  Resto in silenzio, conto fino a dieci quanti erano i suoi anni, e mi chiedo dove sbaglio.  Vorrei dire “sei come la mamma”. Vorrei aggiungere “sai che a papà devi dire tutto”.  Ma non dico niente.

Dopo qualche giorno ho scoperto che Libero, di anni dodici, si è presentato da solo a casa. Ha citofonato e l’ha fatta scendere. Ha consegnato la rosa e una letterina e se n’è andato. Ho saputo dalla mia ex moglie che la piccola, tornata a casa, si è messa a piangere e ha chiesto aiuto alla madre che, stranamente, le ha suggerito di essere subito “trasparente”.  Il testo del suo SMS è stato: “Grazie, ma tu non mi piaci”. La risposta di Libero è stata: “Adesso sono triste.”  Ho chiesto della letterina, ma sembra sparita.

Questo è il mio coccio di San Valentino: l’immagine di un bambino di anni dodici che trova il coraggio di portare una rosa ad una bambina di anni 11. Noi, così grandi, così maturi, così pieni di pippe mentali, noi così distratti, così egoisti, così virtuali, noi così finti giovani, così smart&friend, così incazzati con tutti, dove eravamo a san Valentino? Soprattutto, dove eravamo quando avevamo dodici anni e perché lo abbiamo dimenticato così facilmente?

Viva Libero, il mio eroe.